Fermarsi a guardare un ragazzo che videogioca, spesso per un genitore è un’esperienza frustrante. Gli parli e non ti sente. Osservi il suo corpo ed è evidente che ogni muscolo è orientato allo schermo. Tutto ciò che si muove nella stanza è escluso dalla sua attenzione. Ma cosa troverà mai in questa maledetta consolle?
Questa volta, mentre guardo giocare mio figlio, sto sfogliando il Digcom 2.1 del Centro di Ricerca Comune della Commissione Europea (JRC). È un breve rapporto sull’apprendimento e le competenze digitali necessarie per l’occupazione, la crescita personale e l’inclusione sociale. Mi chiedo se non sia possibile mettere in relazione quello che vedo con quello che leggo, quindi le competenze digitali che si possono apprendere giocando. Ci provo. Guardo la prima area di competenza: “Alfabetizzazione su informazioni e dati”. Utile, ma noioso. Passo oltre. Sono incuriosito dalla seconda: “Comunicazione e collaborazione”. Sento che c’è qualcosa. Proseguo e leggo la prima competenza: “Interagire attraverso le tecnologie digitali”. Torno a considerare mio figlio. Coordina l’azione con gli altri, invita i compagni a vedere un video che spiega come si “bilda” in quel modo, viene colpito, urla “ressatemi”.
Decido di sì. È possibile guardare un ragazzo che gioca e identificare le competenze che ha acquisito, la sua capacità di usarle e anche di metterle a disposizione degli altri.
A volte si scoprono cose inattese e questo, in parte, consente di sopportare meglio l’urlo improvviso di dolore che squarcia l’aria della cucina. Un colpo mortale è stato inferto: si ricomincia da capo.
Comments