Un libro che, senza la pretesa di essere esaustivo, tocca le tappe fondamentali della storia dei videogiochi intrecciandola con frammenti della memoria personale dell'autore. Un saggio interessantissimo sia per gli appassionati di videogame, sia per chi, pur guardandoli con diffidenza, vorrebbe scoprirne qualcosa di più
Un viaggio adatto ad adulti e ragazzi, quello del giornalista esperto di videogiochi Lorenzo Fantoni, che ripercorre le principali tappe della loro storia, intessendola di ricordi personali. Perché siamo fatti delle storie che ci raccontiamo, e le memorie legate ai videogiochi fanno parte di quel puzzle che è la nostra identità.
È curioso come le storie abbiano la forza di unire universi personali, probabilmente lontani, in esperienze condivise. Chi vi scrive, per esempio, ha iniziato ad appassionarsi in maniera più intensa alla narratività nei videogiochi proprio con il Guybrush Threepwood citato nella piacevole prefazione di Marina Pierri, protagonista della serie di videogames Monkey Island, in cui un ragazzo un po' goffo sogna di diventare un temibile pirata.
E il viaggio di Lorenzo è intriso di storie, principalmente quella dei videogiochi, in un intreccio continuo con la sua biografia personale, tanto che la penna dell'autore passa con disinvoltura dagli uffici delle software house più importanti del settore a un bar - che ora non esiste più - sulla spiaggia in Toscana della sua adolescenza.
"Vivere mille vite" (2020), edito da Effequ, però, non fa solo questo. Oltre a raccontarci gli eventi principali di un'industria dell'intrattenimento che nella sua storia recente ha inglobato gli effetti della rivoluzione tecnologica, ci offre un'analisi dal punto di vista di qualcuno che il settore lo conosce bene, ma sa anche discostarsene, senza doverne fare per forza un'elegia, analizzandone con equilibrio anche le potenziali derive negative.
La modalità di fruizione del testo è lasciata in mano al lettore. Analogamente ai libri-game popolari in Italia a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta (chi si ricorda di “Lupo Solitario”?), sarete voi stessi, guidati da un "tetramino" (figura geometrica fissata nell'immaginario collettivo da Tetris) per capitolo, a scegliere l'ordine con cui leggere la progressione nella lettura e, perché no, saltare un capitolo che non vi interessa.
Lorenzo suggerisce anche dei percorsi, tanto che, se siete genitori di videogiocatori, magari meno avvezzi alla tematica, avrete già a disposizione la vostra successione di tetramini pronta. Se invece amate il multiplayer, potrete scegliere un percorso dedicato che inizia dai LAN party per arrivare a Fortnite. Indipendentemente dall'ordine che sceglierete, ogni capitolo del testo, tramite le differenti angolazioni con cui guarda ai videogiochi, rimanda a un messaggio sottostante: i videogiochi, come altri oggetti della cultura condivisa, ci dicono qualcosa sulla società in cui viviamo, e ignorarli corrisponde a perdere una chiave di lettura.
Se trascuriamo o disprezziamo in maniera pregiudizievole fenomeni quali Minecraft o Fortnite, derubricandoli erroneamente a perdite di tempo o esperienze vuote di significato, contribuiremo a riprodurre quella incomunicabilità che oggi favorisce approcci settari tra generazioni analogiche e generazioni digitali. Una distinzione peraltro di livello solo astratto, perché il virtuale, di fatto, è reale. Appartiene comunque al mondo dei sensi.
Dopo un'interessante introduzione che parte dai primi progetti di gioco elettronico degli anni Quaranta fino ai laboratori del MIT degli anni Sessanta, entreremo nel cuore della storia dei videogiochi. Potrete ripercorrere gli eventi che hanno portato alla nascita dei cabinati da sala giochi e delle prime console negli anni Settanta, all'arrivo dei personal computer negli anni Ottanta e all'affermazione di alcune software house intorno agli anni Novanta, tuttora tra le più importanti dell'industria videoludica. Il tutto sempre accompagnato dalle memorie dell'autore, che mescola a questi eventi storici i suoi ricordi biografici.
Dal Commodore 64 che arriva a casa sua quando ancora sta muovendo i primi passi alla PlayStation 4 quando è ormai adulto, un filo rosso lega i ricordi di Lorenzo relativi a queste memorie, ossia la passione condivisa con suo padre. Perché il pezzo che si va a perdere, trattando i videogiochi come un blocco unico e non come un insieme di generi con caratteristiche proprie, è che dietro alla superficie fatta dei soliti discorsi (la violenza, le dipendenze, l'isolamento sociale), spesso peraltro affrontati da chi non ha coscienza del medium, c'è un mondo di storie e generi sommersi che meritano di essere raccontati. Mettendo a nudo frammenti delle sue memorie più intime, l'autore evidenzia come una passione forte ereditata in famiglia possa portare una persona a scegliere di voler vivere la sua vita dedicandola a quel mondo.
Se i videogiochi ci danno la possibilità di "vivere mille vite", Lorenzo ci fa leggere un po' della numero mille e uno: la sua. E lo fa, come accennato, non con un elogio continuo del mezzo (il sessismo, la mascolinità tossica, la stessa violenza sono temi presi in considerazione), ma con un approccio che ci ricorda che per ogni sparatutto che critichiamo perché non abbiamo voglia di comprenderlo, ci può essere anche un ragazzo che si appassiona di storia medioevale perché negli anni Ottanta ha cavalcato un cavallo fatto di pixel in visuale soggettiva.
Per questo, se siete genitori e non vi spiegate il motivo di tanta passione e tempo dedicati dai vostri figli ai video games, il consiglio è di leggere il saggio. Può aiutarvi a entrare nella dimensione in cui non è più questione di meglio o peggio, tra esperienze condivise reali o virtuali, ma di come ci poniamo noi stessi di fronte al cambiamento e al tempo che passa. Se prima avevamo i giochi da tavolo e vent'anni fa ci mettevamo tra amici a casa a gareggiare in tornei di fronte a una console, oggi i ragazzi possono farlo tramite una connessione online. Come evidenzia bene Lorenzo, una piattaforma come Fortnite non è fatta per colui che vince ma per i novantanove che perdono. Là in mezzo, tra le tante attività che offre il gioco e le chat con gli amici dove si condividono gli obiettivi oltre a una miriade di altre esperienze significative e non, si cementano amicizie e rapporti che potranno diventare importanti nella nostra storia di vita.
Se dare dei limiti al tempo passato con i videogame può avere un senso a livello educativo, vietarli totalmente, senza provare a guardarli meglio, equivale a bucare il pallone ai bambini in piazza perché hai paura che ti rompano il vetro. Nel caso dei videogiochi, i ragazzi, il vetro, lo hanno rotto da tempo e costruiscono significati e relazioni, a prescindere dagli adulti. Sta a noi decidere se accettare di tenercelo, quel vetro, anche incrinato, e provare a guardare un pezzo di partita.
In fondo, come ci insegnano alcune teorie psicologiche quale l'attaccamento, la nostra identità, ancor prima che noi sviluppiamo un linguaggio, è influenzata in parte dalla reazione delle figure affettive significative ai nostri vissuti emotivi. Lo stesso concetto di looking-glass self sociologico parte dal presupposto che l'identità sia la risultante di ciò che gli altri percepiscono di noi.
La determinazione che il papà di Lorenzo mostra nel non volere schiacciare il figlio nel diventare una sua estensione, invitandolo invece a seguire le proprie inclinazioni, diventa poi ciò che contribuisce a sostenere una "identità ludica" nel ragazzo in maniera comprensiva invece che costrittiva. Quella che porta Lorenzo a tornare nel luogo dove vi era una sala giochi di provincia affacciata sul mare, anni dopo, e vivere ancora delle emozioni:
“Dopo i ventitré anni non ci sono più tornato, avevo paura dell'impatto tra realtà e ricordo che di solito frantuma la prima e sporca il secondo. Poi sono riuscito, non molto tempo prima di scrivere questo libro, a tornarci, ed è andato tutto bene. Non importa se là non c'è più niente. L'importante è che ci sia stato. Non importa se è un posto che non ha niente di speciale, non te li scegli i luoghi dell'anima. Una parte di me sarà sempre là e là tornerà un giorno.”
Un approccio educativo, quello del papà di Lorenzo, che se seguito almeno in parte può aiutare a guardare ai propri figli che giocano con curiosità e non con paura e rifiuto.
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